Tecniche di Neuromarketing per comunicare al meglio il tuo brand

Come fare in modo che i clienti si ricordino di noi, dei nostri prodotti e servizi? Se ti dicessimo che esistono specifiche tecniche di neuromarketing che ti aiutano proprio in questo? Ne abbiamo parlato con Mariano Diotto.
Tecniche di neuromarketing
23 Aprile 2021
Come fare in modo che i clienti si ricordino di noi, dei nostri prodotti e servizi (e non di quelli dei concorrenti)? Se ti dicessimo che esistono specifiche tecniche di neuromarketing che ti aiutano proprio in questo?
Ne abbiamo parlato con Mariano Diotto - brand strategist e neurobranding expert, Coordinatore del Dipartimento Brand dell’AINEM (Associazione Italiana Neuromarketing), docente universitario e Direttore della Collana HOEPLI di Neuromarketing.
Indice:
Neuromarketing e emozioni
Chi è il nostro consumatore
Q&A
Tecniche di neuromarketing: esempio supermercato
Tecniche di neuromarketing: esempio Nike Store
Il neuromarketing è etico?
Essere consapevoli (esempio Abercrombie)
Neuromarketing per piccole e medie aziende
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Tecniche di Neuromarketing per comunicare al meglio il tuo brand

Come fare in modo che i clienti si ricordino di noi, dei nostri prodotti e servizi (e non di quelli dei concorrenti)?


Marta: Benvenuto Mariano e grazie mille di essere con noi! Per chi non ti conoscesse, partirei con una breve introduzione di te e di quello di cui ti occupi 😉

Mariano: Grazie a te Marta per l'invito! Sono docente universitario e ho fondato un percorso di laurea in comunicazione, web marketing e digital communication (uno dei primi in Italia). Mi sono sempre interessato all'ambito della comunicazione, per arrivare poi allo studio del marketing e delle neuroscienze.
Insegno attualmente anche in America per aziende, poi scrivo libri anche - nei ritagli di tempo. Assieme ad AINEM abbiamo deciso di portare anche in Italia un apporto più scientifico per introdurre questa disciplina, ed è così che ho fondato una collana italiana con Hoepli sul neuromarketing, anche con dei libri tradotti anche dal mondo americano.
Il neuromarketing non si concentra solo su quella che è la comunicazione e le sue modalità, ma si interroga su come il cervello elabora queste informazioni. Quindi parte da un punto di vista diverso: quando arriva un messaggio a un soggetto che cosa capita nel suo cervello?
Vediamo le dinamiche, le monitoriamo, cerchiamo di capire se ci sono delle regole e cerchiamo di comprenderle, in modo da facilitare la decodifica da parte del cervello.



Neuromarketing e emozioni

Mariano: Una cosa che spesso dico ai miei studenti è che le emozioni non sono il cuore, ma sono nel cervello. E questo crea delle difficoltà, perché spesso c’è anche un problema di incomprensioni delle emozioni. Se una persona prova un’emozione e gli chiedo: che emozione stai provando?
Per rispondere a questa domanda con un dato tecnico scientifico, possiamo usare una specifica macchina che misura il movimento cerebrale e in base a questo capiamo le emozioni che sta provando.
Possiamo anche chiedere alla persona di esternare l’emozione che ha provato e a questa emozione dare un nome. Cosa capita quindi nel cervello? Vive questa emozione e poi cerca di formularla attraverso una parola, che però è limitativa rispetto all’emozione che ha provato.
Per esempio, la ragazza che dice “ti amo” al proprio ragazzo e lui risponde con un “ti voglio bene”. Tendenzialmente la ragazza si arrabbia, ma il significato di quella frase può essere lo stesso. Il movimento cerebrale magari è identico, ma la parola utilizzata è diversa.
La forma attraverso la quale io esterno l’emozione che ho provato è comunque limitante. Il problema delle emozioni è che necessariamente devono essere elaborate attraverso delle parole e questo pone diversi limiti.
Nella comunicazione è quindi importante che l’emozione sia nella stessa area di pertinenza, quindi positiva o negativa: che poi si chiami gioia, felicità, compiacimento, sono sfumature derivanti dalle parole.
Ed io posso lavorare su un sentimento positivio - per esempio gran parte delle pubblicità lavora su questo - oppure negativo. Tutte le pubblicità sociali tendenzialmente parlano di un elemento negativo, per portare alla cura dello stesso.
Adesso c’è la moda di parlare di spot emozionale o pubblicità emozionale. Cosa vuol dire? Dice tutto e niente. L’emozione in realtà è una decodifica cerebrale che noi facciamo e quindi dobbiamo lavorarci molto bene.

Marta: Quindi diciamo che con le tecniche del neuromarketing lavorate per attivare delle determinate emozioni nel cervello?

Mariano: Sì certo, andiamo ad individuare quali sono i tipi di emozioni e cerchiamo di costruire una comunicazione che raggiunga esattamente l’emozione che a noi serve. Una delle tecniche che utilizziamo sono i big data, quindi attraverso un'analisi del web e dei social, ci sono dei software che permettono di analizzare il postato di un’azienda e vedere nelle facce delle persone che si sono fotografate l’emozione che provavano utilizzando quel determinato prodotto.
É capitato - con alcune aziende - che ci siamo resi conto che magari l'emozione su cui si lavorava era quella della gioia, in realtà gli utenti finali nel web postavano sentimenti diversi come quello della sorpresa.
Quindi lavorare su un oggetto che ti crea una sorpresa o che ti crei gioia sono sempre positive, ma sono anche diverse! Ecco che grazie a dei software riusciamo addirittura ad individuare nel postato in rete che emozioni prova una persona utilizzando quel prodotto e dei prodotti competitor. Con questi dati in mano, potrò per esempio differenziarmi da un mio competitor usando sempre un’emozione nella stessa area (positiva), che però sia diversa.

Chi è il nostro consumatore

Mariano: La leva dell’emozioni deve per prima cosa farci capire chi è il nostro consumatore. Io credo che questo sia ancora un problema nel mondo del marketing in Italia.
Le aziende vedono i consumatori in una forma stereotipata, anche le buyer personas molte volte sono generiche e quindi non corrispondono realmente al pubblico di riferimento. Invece le aziende devono capire esattamente qual è il proprio pubblico, oppure andare a individuare dei trend emergenti o delle nuove nicchie di mercato.
Questo il neuromarketing lo fa sempre con le emozioni: possiamo utilizzare dei software di analisi semantica sia visiva sia linguistico. Ad esempio una persona potrebbe essere nella foto triste e scrivere nel post hashtag #happy, come faccio a capire qual è l’emozione vera? I software ci permettono di capire se quell' #happy è ironico o perché è veramente felice.
Questa combinazione ci permette di individuare quelli che sono i nuovi trend emergenti e le nuove nicchie di mercato che non sono ancora utilizzate dall’azienda. Magari quella nicchia utilizza già il mio prodotto, ma questo non è ancora stato compreso dall'azienda e quindi è una parte di target esclusa dalla comunicazione.

Q&A



Tecniche di neuromarketing: esempio supermercato

Marta: Mi piacerebbe che ci raccontassi meglio quella cosa che ho letto nel tuo libro sulle mattonelle del supermercato, che mi sembra super interessante!

Mariano: Certo! Una cosa che nessuno fa quando va al supermercato è guardare di che colore è il pavimento e quanto grandi sono le piastrelle. Questa è proprio una tecnica di memorizzazione: il nostro cervello è un "pigro cognitivo", cioè cerca di fare poca fatica perché consuma molta energia e quindi cerca di memorizzare dei file ripetitivi che fa abitudinariamente.
Se per esempio andiamo in auto sul posto di lavoro, il percorso è già memorizzato nel nostro cervello e quindi nel tragitto pensiamo ad altro, a cosa faremo la sera etc. Il cervello è attento, perché se una macchina ci taglia la strada noi inchiodiamo, però mette un "programmino" per fare quello che sta già facendo e poi si impegna a fare altre cose.
Ecco, questa regola è valida anche nei supermercati: il cervello non percepisce alcune cose o meglio le memorizza senza rendersene conto. Ad esempio nei discount dove la spesa è più veloce le mattonelle sono più piccoline, perché noi automaticamente noi camminiamo più veloce. Sai perché succede questa cosa qui? Perché noi da piccoli quando attraversavamo la strada, saltavamo sulle linee bianche o sulle linee nere. Questi sono elementi giocosi della nostra infanzia, che però sono strutture archetipiche del nostro cervello.
Se voglio far spendere di più il cliente o trattenerlo di più utilizzerò delle mattonelle più larghe in modo che le persone camminino più lentamente. Se voglio farle accelerare, userò mattonelle più piccole. Questo è inconscio, perché tutti noi quando abbiamo delle righe per terra cerchiamo o di non calpesare le righe, o di pestare le righe. Cerchiamo sempre una regola, perché il nostro cervello deve trovare una regola per facilitare la memorizzazione.

Tecniche di neuromarketing: esempio Nike Store

Mariano: Altra cosa che ha sempre a che fare con il neuromarketing sono le luci nei negozi: di solito gli store di alta moda hanno luci fredde (blu), mentre se voglio qualcosa di più "nazionalpopolare" una luce calda fa più effetto.
Con queste tecniche possiamo guidare il cliente a fare il percorso che noi vogliamo all’interno di uno store. Sicuramente avrete visto i Nike Store che sono straordinari a livello di costruzione archetipica, perché sono strutturati in modo che tu vada a vedere solo i prodotti che loro vogliono. Il negozio è pieno di prodotti, ma tu vai a vedere solo lo scaffale che vogliono loro. Perché se entri dalla porta e c'è una corsia tipo quelle da corsa, è ovvio che tendi a camminare su quella corsia. Se poi quella corsia è illuminata di luce gialla ed illumino di blu tutto quello che sta fuori, percettivamente il nostro cervello ci dice "non andarci".

Il neuromarketing è etico?

Mariano: Tutto questo pone un aspetto etico: è chiaro che le tecniche di neuromarketing devono essere applicate in maniera etica, perché il nostro obiettivo deve sempre essere il benessere del consumatore. Il neuromarketing deve rispondere a quelli che sono i bisogni latenti del consumatore, quindi qualcosa che il consumatore ha dentro di sé, ma che non ha ancora razionalizzato ovvero non ha ancora trasferito in un prodotto che possa soddisfare qualcosa.
Facciamo l'esempio del turismo che ora è in crisi, ma si sta muovendo in maniera straordinaria, perché sta costruendo l’esperienza cerebrale che poi andrò a vivere.
Ora che il desiderio di una vacanza è sicuramente maggiore rispetto a due anni fa, posso capitalizzare questa emozione, facendo in modo che il consumatore la memorizzi, lo fidelizzo in questo percorso, in modo che poi quando sarà aperto il mercato il consumatore acquisti da me e non dal mio competitor.
Dobbiamo riuscire a comprendere i ragionamenti che il nostro cervello fa, per guidare il pubblico a scoprire quali sono i loro bisogni latenti, senza indurre dei nuovi bisogni. Se creo nuovi bisogni, probabilmente il cliente prima o poi se ne accorgerà e toglierà la fidelizzazione al mio brand e al prodotto.
Il cervello, essendo ripetitivo, quando si affeziona a un marchio difficilmente lo molla, per esempio un fumatore che inizia con una marca di sigarette nella sua vita non lo cambierà mai più, perché ci sono tutta una serie di ricordi ed emozioni che spingono il consumatore a comprare sempre lo stesso prodotto. Il neuromarketing riesce a capire tutte queste dinamiche e permette una fidelizzazione maggiore.

Essere consapevoli (esempio Abercrombie)

Marta: Federica ci chiede: "essere consapevoli di queste tecniche di neuromarketing ci rende più immuni rispetto a chi non ne sa nulla? O si può essere comunque condizionati da questi meccanismi archetipi?"

Mariano: Tutti siamo condizionabili,anche noi che facciamo marketing cadiamo nelle trappole del marketing. Io racconto sempre questo esempio: in America anni fa Abercrombie era un brand che andava fortissimo perché aveva un format di store particolare, emozionale, sensoriale (luci, commessi all'ingresso, musica, profumo).
In Italia è stato aperto il primo punto vendita a Milano e io sono andato lì come esperto di marketing per capire e studiare lo store dal punto di vista tecnico scientifico.
Bene, era il 13 dicembre quindi freddo a Milano e la cosa che mi ha colpito di più sono stati i due modelli muscolosi all'ingresso che indossavano delle infradito estive. Dopo aver studiato il negozio, le luci e tutto, sono esperto di neuromarketing, sarò ben capace di non farmi condizionare. Sto per uscire e vicino all’uscita vedo un cestone grande con delle infradito, vedo che costavano 25€, ho pensato che non costavano tantissimo e le ho acquistate. Ho comprato il 13 dicembre delle infradito che avrai usato d'estate.
Quindi per rispondere a Federica, conoscere le tecniche di neuromarketing ti rende più attento, però cadiamo anche noi in queste trappole qui, perché poi il cervello anche a noi fa degli "errori di programmazione."

Neuromarketing per piccole e medie aziende

Marta: Qualche consiglio pratico per una piccola media azienda che vuole iniziare ad utilizzare il neuromarketing?

Mariano: L’obiettivo è conoscere bene i propri consumatori, più li conosco, più capisco chi sono, più riesco ad individuare una strategia completa per soddisfare i loro bisogni e i loro desideri.
Nel proprio piccolo questo è molto importante. Per esempio, la parrucchiera fa le proprie indagini di mercato interrogando i clienti e valutando il loro stato di soddisfazione (una survey direttamente al proprio cliente).
Se io conosco bene i miei consumatori posso anche modellare il mio prodotto su di loro. Ci sono delle modifiche di prodotto che non comportano un dispendio economico. Per esempio se io produco un prodotto giallo, ma al mio consumatore il giallo non piace o che altri competitor lo usano, io potrei evolvermi. A livello di costo non incide, ma permette al brand di evolversi tenedo presente non il "mi piace aziendale", ma con dei dati precisi utilizzando un survey online o delle newletter che non hanno costi enormi e permettono di avere dei feedback immediati sul tuo consumatore e sul tuo prodotto. Più il consumatore sarà coinvolto in questi processi e più sarà affezionato al brand.
Di solito nella nostra spesa al supermercato il 90% dei prodotti che acquistiamo sono di brand che conosciamo e di cui ci fidiamo. Devo fare in modo che il mio consumatore sia sempre più vicino a me e che io possa modificare il prodotto in base alle sue esigenze.

Per esempio in questo periodo che le palestre sono chiuse molte si sono attivate per fare dei corsi online per mantenere il proprio pubblico. Chi non l’ha fatto è già fuori dal mercato. Quando riapriranno io andrò da quella che mi ha fornito un servizio di fidelizzazione, perché quando non potevo andare da loro, sono venuti da me.
Più conosco il mio consumatore, più posso modellare prodotti e servizi adatti.

Per esempio un’azienda con cui ho lavorato produceva surgelati con porzioni da 4. Il numero di single che vivono da soli sta aumentando, dopo alcuni survey abbiamo introdotto le porzioni da 2. Questa era una fascia di mercato a cui l’azienda non aveva pensato e il risultato è stato un forte aumento delle vendite. In questo caso abbiamo modellato il prodotto in base all’esigenza del consumatore.

Dobbiamo comprendere anche come il consumatore ragiona e utilizza il cervello. Ci può essere un consumatore che è disposto a spendere tanto e spostarsi tanto oppure spendere tanto e non spostarsi, in questo caso sono io che devo andare da lui.
Anche queste variabili tradizionali devono essere messe insieme e calcolate: come nel cervello del consumatore queste variabili hanno una proprità e come vengono utilizzare. Quindi anche le buyer personas vanno ripensate per quello che è il consumatore visto sotto l'aspetto cerebrale.


Grazie mille Mariano per il tuo prezioso intervento e per il tuo tempo 😊
Se vuoi approfondire l'argomento, ti consigliamo i tre libri di Mariano Diotto 👇
Libro "Neuromarketing. Gli strumenti e le tecniche di una strategia marketing efficace per creativi e marketer"
Libro "Neurobranding. Il neuromarketing nell'advertising e nelle strategie di brand per i marketer"
Libro "Manuale di neuromarketing"


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