Neuromarketing: cos'è e come aiuta a vendere di più (con esempi)

Come il Neuromarketing ci aiuta aumentare le vendite? Tecniche di Neuromarketing (e non solo) con Andrea Saletti, consulente e docente.
Neuromarketing
18 Dicembre 2020
Come il Neuromarketing ci aiuta aumentare le vendite? Ne abbiamo parlato con Andrea Saletti, consulente in Pronesis e docente di neuromarketing e scienze della persuasione applicate al web in ambito universitario e aziendale.
Nell'intervista Andrea ci spiega varie tecniche di neuromarketing per e-commerce (e non solo), con l'obiettivo di migliorare le performance di vendita.

Indice:
Cos'è il Neuromarketing e di cosa di occupa
Come applicare il Neuromarketing (esempi)
Esercizio pratico di Neuromarketing
Consigli pratici di Neuromarketing
Creazione dell’aspettativa
Consigli di Neuromarketing per Newsletter e DEM
Spunti pratici di Neuromarketing per il Natale 2020
Q&A con Andrea Saletti

✅ Se preferisci guardare la versione video dell'intervista, eccola:

Neuromarketing: esempi e tecniche per aumentare le vendite

Come il Neuromarketing ci aiuta aumentare le vendite? Le migliori tecniche di Neuromarketing per eCommerce, ma non solo!

Cos'è il Neuromarketing e di cosa di occupa

Marta: Bene Andrea, direi di iniziare. Ti va di darci un'infarinatura, una spiegazione di cos'è il Neuromarketing e di cosa di occupa questa scienza?

Andrea: Se ti dovessi riassumere nella maniera più semplice di cosa stiamo parlando ti potrei dire che il neuromarketing è lo studio scientifico di come il cervello umano reagisce agli stimoli di marketing.
É importante sottolineare il termine "scientifico" perché, a differenza di tante altre discipline che si basano su quelli che sono studi empirici sul comportamento, il neuromarketing utilizza degli strumenti che sono presi in prestito dalla medicina per analizzare in maniera misurabile quelle che sono le reazioni emotive delle persone, dei tester di fronte a specifici messaggi.

Questi strumenti sono di diverso tipo però in generale nel web sono principalmente due:

  • eye tracking, che serve per misurare quello che l'occhio umano vede in contesti di uno schermo in un determinato momento
  • e contemporaneamente un elettroencefalogramma portatile, che è una sorta di caschetto che si mette in testa al tester e che sfruttando quella che è la conoscenza attuale delle aree del cervello, misura quali sono le zone che si attivano. Da lì possiamo capire se c'è una reazione emotiva mentre l'occhio guarda quell'esatto punto dello schermo che può essere di allontanamento o di avvicinamento, di stress oppure di piacere.


Esempio pratico di un e-commerce: se io mi trovo al checkout (questa è una situazione classica di misurazione di compiti di un miglioramento delle conversioni), per capire se l'utente ha qualche tipo di problema, di blocco, posso utilizzare degli strumenti comportamentali tipo Hotjar, che serve per fare i video di quello che sta succedendo all'interno del checkout.
In questo modo posso guardare i video e vedere dove e come si muovono gli utenti e cercare di capire qual è stata la problematica che magari ha portato l'utente a non concludere l'acquisto. In questo meccanismo c'è un margine di errore, perché io vedo come si sono svolte le cose, ma il perché lo devo ipotizzare.

Altro metodo classico è quello di capire cosa è successo durante la navigazione sul sito, tramite gli strumenti di analisi come Google Analytics, che mi permette di vedere cosa è successo attraverso i dati che sono stati lasciati dagli utenti come briciole di pane durante la navigazione sul sito e ipotizzare il come e anche il perché.

Quando capiamo il perché è successo qualcosa sappiamo anche come agire per fare in modo che non si verifichi più il problema. Se noi sappiamo che mentre l'occhio sta guardando quel campo specifico del checkout i miei tester nella maggioranza dei casi hanno una sensazione di frizione e rigetto verso quel tipo di contenuto, ho capito che quello è l'elemento esatto sul quale devo intervenire. Pper fare questi test non c'è bisogno di avere traffico al sito, bastano dei semplici test fatti in laboratorio e in 15 giorni hai risultati.

Ci tengo a sottolineare una cosa: questo è l'esempio del neuromarketing più puro in assoluto, cioè il neuromarketing strumentale, che viene chiamato in causa di solito nelle situazioni più estreme dove dobbiamo trovare delle soluzioni molto precise a delle problematiche o verificare nel dettaglio qualcosa che già funziona molto bene.

Poi c'è il neuromarketing più comune e utilizzato, che è il neuromarketing predittivo, ovvero in base alle informazioni che abbiamo raccolto negli ultimi vent'anni riguardo il funzionamento del cervello umano e di come le persone si muovono di fronte ai contenuti digitali, un professionista come posso essere io può intervenire e ipotizzare dei normali AB test, basandosi su quello che sono molto probabilmente le soluzioni più adeguate a quello che deve essere il comportamento di scelta dell'utente di quella pagina.

Come applicare il Neuromarketing (esempi)

Marta: Ci sono delle tecniche di Neuromarketing che come azienda posso usare a mio favore per evitare errori, e anche per vendere di più? Ci fai degli esempi?

Andrea: Sì, certamente. Come azienda il neuromarketing si può sfruttare in diversi modi. Considera come ti dicevo prima che per esempio lanciare un progetto digitale basato su delle regole di neuromarketing consente di anticipare di molto quelle che potrebbero essere poi delle problematiche successive al lancio. Quindi possiamo evitare di dover fare degli aggiustamenti a livello di contenuti, visualizzazione etc.
Questo è già un vantaggio fortissimo dal punto di vista dell'investimento iniziale. Dal punto di vista pratico io in generale utilizzo un modello che è mio e che ho sviluppato nel tempo in maniera empirica. Mi occupo di neuromarketing applicato agli e-commerce da più di dieci anni e di conseguenza ho creato il mio modello, il mio metodo di lavoro che poi è lo stesso di cui parlo nel mio libro in maniera totalmente trasparente.
In generale la problematica di fondo è il primo passaggio, ovvero quando dobbiamo strutturare un contenuto digitale, che sia un e-commerce o anche una landing page.
Quando lo realizziamo, dobbiamo considerare che gli utenti hanno un'attenzione limitata data dalla biologia, da quanto i nostri sensi sono abituati a interpretare quelli che sono gli stimoli e contemporaneamente anche da quello che è il contesto in cui ci troviamo.
Già negli ultimi anni la tecnologia sta modificando quello che è il nostro approccio cognitivo: siamo passati da un periodo dove l'approccio cognitivo era sempre lo stesso a questo momento in cui la tecnologia ci stimola a un diverso tipo di approccio, basato su meccanismi di attenzione molto più brevi. Specialmente i social ci stanno portando ad una fruizione superficiale dei contenuti.

Questo ci costringe a strutturare la pagina conoscendo come funzionano i meccanismi di attenzione, facendo in modo che l'elemento più importante che io voglio far vedere all'utente sia il primo ad essere visto nei primissimi secondi di visualizzazione di quel contenuto. Quindi la prima parte è sicuramente conoscere i meccanismi di attenzione, ci sono tantissimi metodi per veicolare l’attenzione umana che è una delle cose più difficili e limitate che abbiamo.

Esercizio pratico di Neuromarketing

Andrea: Provo a spiegarvi questi concetti con un esercizio pratico, fatelo pure anche voi 👇


Consigli pratici di Neuromarketing

Andrea: Come avete provato sulla vostra pelle in questo esercizio, l'attenzione è un qualcosa di veramente complesso da gestire, non stiamo parlando di contenuto tipo desktop, stiamo parlando di pochi centimetri di distanza.
Questo è la dimostrazione che bisogna stare molto attenti a come studiamo gli elementi dei nostri contenuti digitali.
La parte di interesse è quella in cui vogliamo catturare l'attenzione e lo possiamo fare con:

  • colori
  • dimensione degli elementi - che possano essere più grandi più piccoli
  • indicatori direzionali, ovvero quando inserisco l'immagine di una persona che guarda con lo sguardo verso la call to action, questo aiuta automaticamente a spostare l'attenzione verso quell’elemento.

Creazione dell’aspettativa

Marta: MI viene spontanea una riflessione/domanda: supponiamo di realizzare una Facebook Ad preannunciando qualcosa che ci sarà all’interno di una landing page, non è sfruttandola bene posso stimolare gli utenti a concentrarsi esattamente su quello che voglio - un po' come l'esercizio del telefono che ci hai proposto?

Andrea: Bene, hai toccato un argomento molto importante, che è la creazione dell’aspettativa.
Chiunque arriva sul nostro sito, sull'e-commerce o sulla pagina web, ha un'aspettativa creata in precedenza da qualcosa che si trova all'esterno. Uno degli errori più grandi è quello di non tener conto di questo aspetto. Io tutto quello che mi sono creato e immaginato lo devo ritrovare nella "pagina di atterraggio".

✅ Uno degli elementi più importanti dal punto di vista della creazione dell'aspettativa è quello di utilizzare un testo o una frase, che devo trovare esattamente uguali quando arrivo nella pagina di approdo, perché questo mi da la conferma di trovarmi al posto giusto.
C’è anche un altro aspetto importante da ❌ evitare totalmente, ovvero rompere quello che è l'obiettivo creato all'esterno del sito. Tutti noi quando arriviamo nel sito web o in una pagina prodotto, arriviamo molto spesso da una situazione precedente in cui l'azienda ha creato delle aspettative e si è data un obiettivo. Ecco, questo è un meccanismo che dobbiamo riuscire a mantenere perché l'obiettivo della pagina è proprio quello di soddisfare quell'obiettivo che ci eravamo prefissati.


Molto spesso succede che quando l'utente arriva su una pagina con un obiettivo, si aprano dei pop up che cercano di fare iscrivere l'utente alla newsletter o si apre la chat dell'assistenza. Ecco, questo tipo di azioni rompono quello che è l'obiettivo pregresso e interrompono proprio il flow di quello che è l'obiettivo dell'utente a livello mentale. Questa è una cosa proprio da evitare, perché rischiamo di perdere il focus e magari giocarci una vendita.

Quando creiamo un contenuto molto spesso si ragiona tanto sulle Buyer Personas e va benissimo, ma non ci dobbiamo dimenticare di ragionare anche sul contesto da cui le mie Buyer Personas stanno arrivando, cioè l’obiettivo e il canale da dove arrivavano.
L’esempio relativo a Facebook, che è un tipo di pubblicità push, è quello di rottura nei confronti di quello che è l’obiettivo che l'utente aveva dentro Facebook (farsi i fatti suoi 😉).
Questo è diverso da quello che può essere un annuncio all'interno di un motore di ricerca, che è più coerente con quello che era il mio obiettivo iniziale, ha uno sbocco più preciso su quello che vuole acquistare o vedere. Mentre da Facebook è diverso, perché l'azienda in realtà ha interrotto la navigazione con un annuncio pubblicitario.

Questi ragionamenti vanno fatti in generale, poi è chiaro che quando il traffico arriva da tutte le parti bisogna trovare dei compromessi. Però se c'è un canale preferenziale bisogna chiedersi proprio da questo punto di vista:

  • come dialogare con quella persona,
  • cosa si aspetta di vedere
  • non interrompere quello che si aspetta con una nuova informazione, che romperebbe il meccanismo di aspettativa.

Consigli di Neuromarketing per Newsletter e DEM

Marta: Ci sono delle cose da evitare nelle newsletter e dei consigli che ci puoi dare per il nostro email marketing?

Andrea: Con l'email marketing ci rivolgiamo a persone che ci conoscono: l'obiettivo principale è capire se noi riusciamo a conoscere loro. Dobbiamo riuscire ad intuire chi è l'utente attraverso diversi tipi di profilazione - che può essere diretta o indiretta, magari chiedendo all'utente di rispondere ad alcune domande che mi diano informazioni più chiare su chi è (riuscendo a non farmi scoprire 😉).
Un esempio pratico? Voglio conoscere i gusti del mio utente. Allora nell'email inserisco un piccolo gioco quiz dove lo metto alla prova e in base alle risposte, io automaticamente vado ad inserire questa informazione nel mio database. Conoscere il mio utente è importante, perché ci consente di usare una comunicazione one to one, sempre più precisa.

Poi per quanto riguarda la comunicazione della newsletter, quando sono troppo commerciali c’è sempre una grande hype iniziale, dopo la quale di solito arriva il classico decadimento dell’interesse.
Che cosa si può fare per far sì che si mantenga sempre alto l’interesse? Devi pensare che il cervello umano è una sorta di calcolatore di ricompense, è come se noi trovandoci davanti ogni volta un'opzione delle scelte calcolassimo se la ricompensa che ci torna indietro ci conviene o non ci conviene in base alla nostra biologia e contemporaneamente alle esperienze che abbiamo avuto nella vita.
Quindi tutto quello che ti ha portato ad oggi fino a questo momento ti aiuterà a scegliere in automatico davanti a determinate situazioni che non richiedono particolare razionalità.
Nella situazione in cui ricevi molte offerte commerciali è come se ti abituassi a quel tipo di ricompensa e la famosa aspettativa di cui parlavamo prima, va piano piano a decadere. Scendendo l'aspettativa a quel punto diminuisce anche la probabilità che qualcuno decida di agire.

Quello che possiamo fare è alternare i contenuti commerciali a contenuti utili. Quindi decidere di fare delle email che non hanno nessun tipo di obiettivo commerciale oppure fornire dei consigli che siano utili a quel target di persone. Ecco perché viene utile conoscere gli interessi di ogni singola persona.
Questa alternanza di email commerciali e email utili consentirà all’utente di mantenere sempre viva l’attenzione sulle mie email.

Q&A con Andrea Saletti



Grazie mille Andrea per tutti i consigli pratici ed interessanti che ci hai dato!

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